Breve guida dedicata a coloro che vogliono inquadrare i mercati nell’ottica del gestore e non del trader o dell’investitore. Dai fondamenti di macroeconomia alle più comuni tecniche di gestione del portafoglio.

-I tassi d’interesse

-Politica Fiscale

Dall’inizio del secolo gli economisti si sono dovuti confrontare con il dilemma dell’efficacia delle politiche monetarie rispetto a quelle fiscali e viceversa. Quando utilizzare la leva monetaria e quando quella fiscale?

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  • Come in tutti i mercati finanziari il prezzo delle attività scambiate viene fissato dall’interazione tra la domanda e l’offerta; per quanto riguarda il mercato monetario ci riferiamo alla domanda ed all’offerta di moneta il cui prezzo è rappresentato dal livello dei tassi d’interesse. In questo caso il semplice modello d’interazione tra domanda ed offerta è complicato da due fattori chiave:

    Il tempo (la struttura a termine dei tassi di interesse)

    La creazione o la distruzione di liquidità (l’azione delle banche centrali)

    In poche parole il mercato monetario si comporta diversamente dagli altri mercati, poiché è soggetto all’influenza di variabili esterne.

    LA DOMANDA DI MONETA. La moneta è un’attività finanziaria (come le obbligazioni e le azioni) ed in quanto tale può essere utilizzata nelle scelte di portafoglio con i seguenti fini:

    – Transazionali (contropartita per gli acquisti)

    – Precauzionali (forma di risparmio a basso rischio)

    – Speculativi (parcheggio temporaneo di liquidità in funzione di una previsione negativa sull’andamento delle attività finanziarie con rischio più alto)

    La domanda di moneta dipende dalle decisioni monetarie dei detentori di ricchezza poiché quando c’è scarsità di liquidità questi soggetti disinvestono le attività meno liquide ed a scadenza prolungata (le attività più rischiose); viceversa in situazioni di liquidità abbondante si investirà nelle attività più rischiose. Tali decisioni di investimento modificano la domanda di moneta, le quotazioni dei mercati finanziari e quindi il livello dei tassi di interesse di mercato.

    L’OFFERTA DI MONETA. L’offerta è costituita dagli operatori che creano moneta e cioè la Banca Centrale ed il sistema bancario. La massa monetaria immessa nel sistema coprirà le richieste della domanda per essere convertita in investimenti finanziari o reali. Naturalmente il livello dei tassi d’interesse influenzerà la richiesta di moneta. Ad un livello dei tassi più alto corrisponderà una minore domanda di moneta e quindi minori disponibilità dei detentori di ricchezza di investire a lungo termine ed in attività rischiose. Quindi il livello degli investimenti è inversamente correlato con il livello dei tassi

    Quindi le Banche Centrali hanno due modalità per cercare di frenare l’inflazione causata dai surriscaldamenti delle economie o da altri fattori esterni:

    – Cercare di frenare direttamente la creazione di moneta (processo lungo e scarsamente efficace)

    – Aumentare i tassi di interesse di riferimento (in questo modo diminuiscono la domanda di moneta e gli investimenti reali e finanziari)

    Il potere delle Banche Centrali di condizionare il prezzo della moneta è la prima anomalia del mercato anche se occorre ricordare che la Federal Reserve ha garantito un decennio di continuo sviluppo, senza inflazione, all’economia americana con un dosaggio appropriato tra politiche monetarie espansive (diminuzione dei tassi) e politiche monetarie restrittive (aumento dei tassi).

    La seconda anomalia è data dall’effetto del tempo. Nella figura sottostante potete notare come vi siano delle differenze tra i tassi a breve ed i tassi a lungo sia per entità (ripidità della curva dei rendimenti)che per segno (la differenza può essere nulla, positiva, negativa). Sia l’entità che il segno vengono decisi dalle aspettative del mercato e dall’andamento dell’economia

    La curva dei rendimenti (Yield Curve) è un grafico molto utilizzato dagli operatori di mercato per riassumere velocemente le aspettative del mercato sull’andamento dell’economia e quindi dei tassi d’interesse. Una curva decrescente comporterà un’aspettativa di rallentamento economico, e quindi di abbassamento dei tassi d’interesse, viceversa con una curva crescente ci si aspetterà una crescita economica e quindi un rialzo dei tassi. L’entità del rallentamento economico o della crescita sarà risultante dalla ripidità della curva.
    Gli operatori definiscono la differenza tra i tassi a lungo ed i tassi a breve come il premio per il rischio di mercato. Nel II° Modulo ritorneremo sull’argomento mettendo in correlazione il livello del premio di rischio con l’andamento dei mercati borsistici

    L’efficacia della politica monetaria operata dalle banche centrali dipende da vari fattori:

    – Gli obiettivi (inflazione o sviluppo?)

    – Le caratteristiche strutturali del mercato (flessibile o rigido?)

    – Il precedente livello dei tassi (trappola della liquidità)

    – L’interazione con le politiche fiscali (espansive o restrittive?)

    L’evidenza empirica ha comunque dimostrato che la politica monetaria è più efficace nel tamponare e correggere squilibri dal punto di vista finanziario (es. crisi Asiatica del 98) piuttosto che dal punto di vista economico (es. crisi del 29), dove le politiche fiscali sembrerebbero essere più efficaci.

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L’intervento dello stato nell’economia ha come obiettivo principale quello di stabilizzare l’economia garantendo una crescita del PIL (Prodotto Interno Lordo) quanto più possibile elevata e costante nel tempo. L’idea che le politiche fiscali potessero contribuire in misura consistente al mantenimento della stabilità economica iniziò a diffondersi dopo la crisi del 29 grazie alle teorie di J.M.Keynes.
Keynes sosteneva che lasciare l’economia in balia del mercato aveva come diretta conseguenza un’instabilità strutturale che non garantiva assolutamente prospettive di crescita equilibrate e tese ad una distribuzione il più possibile allargata del reddito risultante dalla crescita economica.

Inoltre l’utilizzo esclusivo della politica monetaria per contrastare periodi di forte rallentamento economico, secondo Keynes ed i suoi seguaci, in molti casi non sarebbe stata una medicina efficace e comunque non avrebbe mai portato l’economia verso una piena capacità produttiva.
E’ principalmente per queste motivazioni che l’economista introdusse il concetto di politiche fiscali espansive (o restrittive).
Prima di parlare di politiche fiscali analizziamo che cosa è il Prodotto Interno Lordo e da che cosa è composto:

PIL=Consumi+Investimenti+Spesa Pubblica+Esportazioni-Importazioni

Come si può verificare dalla tabella riassuntiva delle componenti del PIL, lo stato è in grado di influenzare in forma diretta la spesa pubblica ed il livello di tassazione, ed in via indiretta il livello del reddito disponibile, e le aspettative future. In pochi paesi il potere statale si spinge fino a determinare il livello dei tassi di interesse e quello dei cambi; nei paesi più evoluti economicamente, il potere di stabilire il livello dei tassi d’interesse è demandato ad un organismo indipendente come la Banca Centrale che ha l’obiettivo di difendere l’economia dall’inflazione (per la verità la Fed si spinge anche a sostenere lo sviluppo economico..) mentre per i tassi di cambio l’esperienza empirica ci mostra due modelli alternativi come il mercato ed il regime dei cambi fissi.
L’autorità di politica economica possiede uno strumento formidabile per incentivare lo sviluppo economico; l’efficacia delle politiche espansive (che possono consistere sia in un aumento della spesa pubblica, che in una diminuzione della tassazione) si basa sul concetto di moltiplicatore Keynesiano.
A seguito di un aumento della spesa pubblica o di una diminuzione della tassazione, il reddito disponibile dei consumatori aumenta con un conseguente aumento dei consumi (propensione al consumo); le aspettative delle famiglie e delle imprese, inoltre, a seguito di una manovra espansiva, miglioreranno, rilanciando gli investimenti. L’effetto sul Pil di una manovra espansiva è più che proporzionale proprio per il cosiddetto effetto moltiplicativo delle politiche fiscali.

Nel corso del tempo, una serie di aspetti negativi ha portato ad una drastica riduzione dell’uso della politica fiscale per stimolare l’economia. Gli aspetti negativi sono:

– riescono ad influire sull’economia in ritardo rispetto alle necessità

– approvazione dei progetti di legge molto complessa effetti inflattivi

– accumulazione di debito pubblico

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  • MOMENTO DI INTERVENTO NELLA POLITICA MONETARIA
    MOMENTO DI INTERVENTO NELLA POLITICA FISCALE 

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  • In questa sezione analizzeremo i diversi approcci che si possono seguire per costruire un portafoglio, selezionare ed analizzare i titoli, stabilire il momento giusto per entrare sul mercato

    I DIVERSI APPROCCI

    Immaginiamo che il processo di gestione sia paragonabile alla preparazione di un piatto prelibato e che il gestore sia un cuoco. Fra gli infiniti ingredienti che il cuoco ha a disposizione, solo una giusta miscela, con gli ingredienti giusti e con tempi di cottura adeguati porterà ad un risultato vincente.
    Qualunque sia il portafoglio da gestire esistono solo due grandi tipologie di approcci decisionali

    Top – Down

    Bottom – Up

    Top – Down
    Questo approccio si caratterizza per il fatto che parte da uno studio macroeconomico e/o settoriale per impostare fin da subito una ripartizione dell’asset allocation su basi geografiche e/o settoriali; chi utilizza questo approccio ritiene che la maggior parte della performance (l’80% o il 90%) è realizzata attraverso una giusta impostazione dell’asset allocation, mentre il timing e la selezione dei titoli contribuiscono marginalmente.
    Di solito, chi utilizza questo approccio non si allontana dalla composizione del benchmark di riferimento ed effettua controlli ripetuti sulla volatilità del portafoglio, quando si discosta dalla volatilità dell’indice di riferimento.

    Il processo decisionale è schematizzabile nel seguente modo:

    – Studio Macroeconomico e/o Settoriale

    – Formulazione Scenari Previsionali

    – Assegnazione probabilità agli Scenari

    – Verifica Compatibilità Composizione del Benchmark con Scenario più Probabile

    – Formulazione Asset Allocation derivante dalla Composizione del Benchmark

    – Scelta dei titoli migliori dei rispettivi paesi e/o settori e scelta del Timing d’entrata

    – Controllo del rischio e dello scostamento dal benchmark

    Una volta delineato lo scenario macroeconomico di riferimento si iniziano ad assegnare dei pesi percentuali ai paesi e/o settori che dovrebbero performare meglio rispetto al mercato di riferimento (il benchmark)
    A questo punto bisogna costruire il nostro portafoglio neutrale; il portafoglio neutrale replica perfettamente il benchmark di riferimento; il benchmark si può replicare per capitalizzazione (es. per il Mib30 costruire un portafoglio con gli stessi titoli e gli stessi pesi percentuali presenti nell’indice) o per volatilità (costruire un portafoglio con meno titoli rispetto all’indice di riferimento, ma con la stessa volatilità e con la stessa performance relativa). Il secondo metodo è utilizzato specialmente con benchmark contenenti molti titoli (es. Nikkei 225 o Nasdaq Composite) difficilmente replicabili per composizione.

    Una volta delineata l’asset allocation ottimale, il Gestore dovrà decidere i titoli migliori di quel determinato settore e/o area geografica. Qui entrano in gioco vari fattori e strumenti:

    – analisi fondamentale del titolo
    – grado di conoscenza della società
    – grado di conoscenza del management
    – analisi tecnica
    – sentiment sul titolo
    – rumors, notizie, etc.
    – report sul titolo

    Scelti i titoli da immettere in portafoglio sia per la loro valenza di lungo periodo, sia perché il sentiment sui vari titoli dà il segnale di giusto timing d’entrata il portafoglio è finalmente creato e la palla passa alla parte operativa ed agli addetti titoli che dovranno acquistare e/o vendere i titoli in portafoglio seguendo le disposizioni del gestore.
    Il procedimento arriva così alla sua ultima fase, quella cioè, del controllo dei risultati; tale controllo passa naturalmente attraverso il classico confronto tra le performance e la volatilità del portafoglio e quelle del benchmark con degli scostamenti massimi consentiti durante periodi di tempo standard; se gli scostamenti dovessero essere superiori, bisognerebbe intervenire con modifiche dell’asset allocation.

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Per semplicità espositiva, immaginiamo di trovarci nel Marzo del 2000 (picco del rialzo di tutti i mercati) e di dover costruire un portafoglio di fondi con un benchmark aggressivo (30% monetario + obbligazionario, 70% azionario MSCI World).
Un gestore illuminato, avrebbe analizzato la situazione macroeconomica, formulando scenari pessimistici, in quanto vari indicatori statunitensi già segnalavano un eccesso di capacità produttiva a livelli folli, non controbilanciato da un livello di tassi di interesse bassi (allora eravamo al 7% negli Usa) e quindi da una crescita della domanda di beni e servizi tale da poter pensare di non creare una saturazione nei vari mercati, con in testa quello tecnologico. Se poi aggiungiamo che eravamo quasi a livelli di piena occupazione come si poteva pensare di poter crescere ancora?

Uno scenario macroeconomico molto pessimista comporterà un’asset allocation che si discosti dal benchmark attraverso il forte utilizzo di strumenti difensivi; ricordiamoci, però che ogni scenario previsto ha una probabilità, non la certezza, di accadere; è per questo che esiste un benchmark, che ci ricorda qual è l’assetto che il nostro portafoglio deve tenere in media. In media non significa sempre (la maggior parte dei gestori di fondi comuni italiani dovrebbe tenere bene in considerazione quest’ultimo aspetto).
Quindi una volta formulato uno scenario non si deve né agire da estremisti (in questo caso 100% sull’obbligazionario, perché mi aspetto una fase recessiva con un calo dei tassi), né agire da “ciechi” adagiandosi sul benchmark indifferenti agli stimoli esterni

Assegnare, quindi, una probabilità allo scenario e comportarsi di conseguenza. In questo caso potremmo assegnare una probabilità del 75% al verificarsi di uno scenario negativo, del 20% ad uno scenario neutrale e del 5% ad uno positivo.
Riprendiamo il nostro benchmark (30% mon.+obbl. – 70% MSCI World). Questo benchmark rappresenta il nostro investimento all’interno dello scenario neutrale (evidentemente la nostra propensione al rischio è molto alta, ma è solo un esempio).
A nostro avviso le bande di oscillazione attorno al benchmark sono + o – 25% (è molto importante scegliere delle bande di oscillazione né troppo strette che imbriglierebbero l’operato del gestore, né troppo larghe che farebbero perdere di significato l’utilizzo del benchmark stesso).

Arriviamo finalmente alla determinazione dell’asset allocation ottimale:

– Monetario+obbligazionario 30% + il 75% del 25% (18,75%), cioè il 48,75% di cui: Monetario15%: ci aspettiamo un ribasso dei tassi, quindi la percentuale sarà bassa. Obbligazionario 33,75%: per gli stessi motivi di cui sopra

– Azionario 51,25%

Come potete osservare anche nel caso di un profilo molto rischioso è possibile diminuire la componente azionaria limitando le perdite anche attraverso il contributo della componente obbligazionaria che grazie alla diminuzione dei tassi avrà rialzi considerevoli.

Da notare, che lo scenario macroeconomico, dal Marzo 2000 ad oggi è passato attraverso fasi sempre più negative, fino al culmine che si è avuto in coincidenza con l’attacco alle Torri Gemelle in Settembre; a Marzo del 2001, per esempio, il quadro macroeconomico delineava uno scenario negativo-recessivo con probabilità pari al 90%-95%, quindi la componente monetaria+obbligazionaria del nostro portafoglio sarebbe nel frattempo salita almeno al 52,5%; la consistente perdita della componente azionaria, avrebbe, inoltre, sbilanciato il nostro portafoglio a favore della componente obbligazionaria, ed in questo caso, il gestore non rigido, vista la situazione negativa, non avrebbe ribilanciato, ritrovandosi con una componente mon.+obbl. superiore al 60%-65%.

Una volta predisposta l’asset allocation si deve necessariamente passare alla fase di selezione titoli che in questo caso riguarda la scelta della tipologia di fondi con cui costruire il nostro portafoglio.
Partendo dalla parte monetaria, a priori il nostro gestore avrebbe sicuramente fatto una scelta conservativa preferendo la componente Euro a quella Dollaro, prevedendo un indebolimento relativo dell’economia Usa, rispetto a quelle europee. La scelta si sarebbe rivelata sbagliata, non tanto per la diagnosi che si è verificata in pieno, quanto per gli effetti, visto che da Marzo 2000 il $ si è rafforzato contro Euro di circa il 10%; l’area Yen non viene nemmeno presa in considerazione per il basso livello dei tassi e per la debolezza cronica dell’economia giapponese. Quindi Monetario 15% (15% area Euro)

Per quanto riguarda la composizione della componente obbligazionaria, le considerazioni prima esposte sulla componente monetaria (debolezza relativa dell’economia statunitense che influenzano il cambio) vengono in parte controbilanciate dall’alta probabilità di una forte diminuzione dei tassi più che proporzionale rispetto all’Europa, anche per la maggiore aggressività della Fed rispetto alla Bce.
Componente obbligazionaria 33,75% (obbligazioni europee 18,75%, obbligazioni Usa 15%, obbligazioni Yen 0%).
Dal Marzo 2000 al 31/12/2001 le varie categorie di fondi hanno così performato:
Monetario Euro 6,5% – Monetario $ 14%
Obbligazionario Euro 8,5% – Obbligazionario $ 22%

La componente monetario-obbligazionaria del nostro portafoglio ha performato:

– Monetario Euro Peso 10% Perf. 6,5%- Margine di Contribuzione al portafoglio 0,65%
– Monetario $ Peso 5% Perf. 14%- Margine di Contribuzione al portafoglio 0,70%
– Obbl. Euro Peso 18,75% Perf. 8,5%- Margine di Contribuzione al portafoglio 1,59%
– Obbl. $ Peso 15% Perf. 22%- Margine di Contribuzione al portafoglio 3,3%

La componente monetario-obblig. nel periodo che va dal Marzo 2000 al 31/12/2001 ha contribuito alla performance totale con un +6,24%

Selezioniamo adesso la componente azionaria pari al 51,25%.
Sulla base dello scenario macroeconomico di riferimento ci dovrebbe essere un forte rallentamento dei mercati azionari, con particolare riferimento a quelli statunitensi che secondo le ipotesi del nostro gestore dovrebbero essere anche esposti al rischio di crollo del cambio (cosa che come abbiamo già visto si è rivelata errata). Anche il mercato Giapponese sarà fortemente sottopesato vista la debolezza cronica dell’economia nipponica che per risollevarsi dovrà necessariamente passare attraverso un forte decremento dello Yen.
Per stabilire la composizione del portafoglio partiamo dalla composizione del benchmark (l’indice MSCI WORLD) che vede gli USA al 50%, il Giappone al 10%, l’Asia e mercati Emergenti al 10% e l’Europa al 30%.

Se prevediamo l’avvicinarsi di una probabile recessione, non ha senso avventurarsi in asset rischiosi e tantomeno ha senso comprare fondi che investono nei Paesi Emergenti, visto che questi paesi risentiranno della crisi più dei paesi occidentali (quando l’America ha il raffreddore i paesi emergenti hanno la febbre) essendo produttori di materie prime, meno utilizzate in fasi di contrazione dell’economia.
La componente azionaria del nostro portafoglio di riferimento avrà i seguenti pesi:
Azioni Usa 15,25%
Azioni Europa 36%
Azioni Giappone 0%
Azioni Paesi Emergenti 0%

La componente azionaria del nostro portafoglio ha performato:

– Azioni Usa Peso 15,25% Perf. -15%- Margine di Contribuzione al portafoglio -2,29%
– Azioni Europa Peso 36% Perf. -19%- Margine di Contribuzione al portafoglio -6,84%

La componente azionaria nel periodo che va dal Marzo 2000 al 31/12/2001 ha contribuito alla performance totale con un – 9,13%

La performance totale del portafoglio nel periodo considerato è stata del -2,89% contro una performance del benchmark (70% azioni-30% monetario+obbligazionario) del -13% .
L’ottima allocazione di portafoglio e l’ottima selezione ed il timing giusto nella scelta difensiva ha fatto si che le perdite subite fossero contenute rispetto all’andamento disastroso dei mercati.

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  • L’approccio è esattamente speculare a quello precedentemente esaminato
    Il punto di partenza è costituito dalla selezione dei titoli e dalla scelta del timing giusto d’entrata; l’asset allocation deriva dalle due fasi precedenti.
    Il benchmark è utilizzato solo nella fase successiva alla creazione dei portafogli ed a puro titolo di confronto, visto che l’obiettivo è battere il parametro oggettivo di riferimento e non replicarlo.
    Questo processo esalta le capacità individuali dei singoli gestori e delle singole organizzazioni.
    La differenza tra le varie metodologie di gestione che utilizzano questo approccio è sicuramente più marcata rispetto a quelle che utilizzano l’approccio Top-Down.
    I gestori che utilizzano questo approccio ritengono che le fasi di selezione titoli e timing contribuiscono per l’80% alla formazione della performance.Il processo decisionale è schematizzabile nel seguente modo:- Studi settoriali e/o sui singoli titoli ed incontri con il management- Utilizzo analisi tecnica e fondamentale ed altre tipologie di analisi- Liste di titoli e/o settori in base a timing d’entrata/uscita- Formulazione classifiche titoli in base a punteggi

    – Asset allocation derivante dalle classifiche confronto con scenari macroeconomici

    – Confronto ex post con il benchmark

    Paradossalmente questo processo decisionale è utilizzato sia dalle grandi strutture, sia dalle piccole, mentre quelle di medie dimensioni, di solito utilizzano metodologie Top-Down.
    Le strutture di grandi dimensioni hanno sedi dislocate in tutte le principali piazze finanziarie mondiali e quindi hanno la possibilità di conoscere direttamente i manager delle aziende attraverso gli incontri ufficiali e non con gli analisti. Questo ed altri motivi come la bravura degli analisti e dei gestori (che vengono continuamente messi in concorrenza fra loro e stimolati con bonus molto ricchi) fanno si che un approccio Bottom-Up sia più efficiente rispetto ad uno Top-Down.
    Le piccole strutture, non potendo disporre di grandi uffici studi, preferiscono delegare gli aspetti macroeconomici a strutture esterne e concentrarsi su pochi titoli ben conosciuti esaltando le capacità del o dei pochi gestori di cui dispongono.

    Gli strumenti utilizzati per la selezione dei titoli e per la decisione del timing sono sempre gli stessi (li esamineremo nei Moduli III e IV):
    – analisi fondamentale del titolo
    – grado di conoscenza della società
    – grado di conoscenza del management
    – analisi tecnica
    – sentiment sul titolo
    – rumors, notizie, etc.
    – report sul titolo

    Una volta creata una lista con classifiche per titoli e/o per settori in base a determinati punteggi si dovrà determinare l’asset allocation sulla base di report e studi sugli indici di settore e/o geografici, nonché sulla base di giudizi macroeconomici; la funzione di questi report e studi è senz’altro più limitata in questo processo, però non meno importante, visto che comunque anche se attraverso fasi più contenute si cerca sempre di arrivare ad un giudizio complessivo con cui intersecare i risultati della selezione titoli per determinare l’asset allocation.
    In pratica il gestore in questo caso si comporta più come un “fiutatore” di macro-trend o di tendenze di fondo al fine di giustificare il timing d’entrata su determinati titoli (nessuno è così pazzo da escludere l’influenza del mercato sul singolo titolo).

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Come abbiamo detto in precedenza è difficile determinare un modello di processo decisionale Bottom-Up, visto che il processo stesso esalta l’approccio gestionale individuale marcando ancora di più le differenze.
Si pensi che la gamma di metodologie all’interno di questo processo può variare dalla gestione patrimoniale azionari classica tipica degli anni ‘70-’80 e che ancora adesso viene portata avanti da varie realtà di Private Equity Svizzere e Nord-europee ai moderni Trading Systems.
Debitower Capital ha schematizzato il proprio modello gestionale a puro titolo di esempio.

Metodologia di Debitower Capital per la gestione del portafoglio:
– Scelta titoli attraverso criteri fondamentali
– Composizione del portafoglio in base a situazione macroeconomica e sentiment di mercato.
– Analisi tecnica utilizzata solo dopo l’acquisto del titolo per stabilire gli eventuali livelli di uscita (è possibile utilizzare l’analisi tecnica anche ex – ante, poi vedremo come)

I titoli vengono scelti sulla base dei fondamentali (es. P/e più basso del settore congiunto ad un rapporto prezzo, capitalizzazione basso) all’interno del Mib 30 e del Nuovo Mercato.
Una volta che si ha una lista di titoli dai buoni fondamentali se ne valutano le prospettive future (tasso di crescita del mercato, del settore, degli utili, voto alla qualità del management) e si dividono in due liste separate (lista Growth, e lista Value).
A questo punto si iniziano a calcolare gli indicatori di sentiment (differenziale volumi, forza relativa, volatilità) ed all’interno delle due liste precedenti si delineano delle graduatorie.

Una volta costituite le due graduatorie bisogna effettuare la scelta sulla ponderazione delle tre possibili componenti del portafoglio:
– Percentuale titoli Value
– Percentuale titoli Growth
– Percentuale Liquidità
La scelta viene effettuata valutando la situazione macroeconomica, il mercato dei tassi, il sentiment del mercato e, se permettete attraverso il fiuto del gestore (se no che ci sta a fare?).

Prima fra tutte viene scelta la percentuale della liquidità.
Poi vengono scelte le percentuali di titoli growth e value.
Adesso è ora di ritornare ai titoli delle due liste e si effettua un’ulteriore divisione tra titoli veloci e titoli lenti (titoli che molto probabilmente saliranno nel breve periodo e titoli che saliranno nel lungo periodo (es. Premuda è un titolo value di lungo periodo, mentre Mondo TV è un titolo growth di lungo). Ci sono titoli che possono far parte di entrambe le categorie (es. Tiscali growth sia di lungo che di breve).
Nella fase d’acquisto viene stabilito un target basato sui dati fondamentali, per la parte di lungo periodo del portafoglio, mentre per quella di breve periodo si utilizzano resistenze e supporti.

La fase di controllo viene attuata definendo uno stop loss al momento dell’acquisto (di solito il 20%); oltre al controllo dello stop loss si monitorano gli indicatori di sentiment forza relativa, differenziale volumi e volatilità e gli indicatori di analisi tecnica medie mobili, macd, ed eventuali formazioni di figure sui grafici (doppio massimo, doppio minimo, testa e spalla etc.).

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Nessun processo decisionale è perfetto. Ambedue gli approcci hanno pregi e difetti; nella maggior parte dei casi i pregi dell’uno costituiscono i difetti dell’altro e viceversa data la specularità dei due diversi approcci.

Difetti Appoccio Bottom-Up

– Tipologia gestionale troppo personalizzata
– Nessun controllo a priori del rischio
– Fabbisogno di una grossa mole di dati fondamentali e tecnici sui titoli
– Possibilità di effettuare molte operazioni con notevoli costi commissionali.

Difetti Approccio Top-Down:

– Rigidità degli schemi decisionali
– Libertà d’azione del gestore molto ristretta
– Difficoltà nel battere il mercato
– Difficoltà nel cambiare strategia al verificarsi di eventi inattesi
– Fabbisogno di una grossa mole di dati macroeconomici

Una volta esaminate le principali tecniche di gestione utilizzate dai grandi gestori elenchiamo di seguito alcuni consigli per scegliere il giusto approccio e per limitare al massimo gli errori strategici nella gestione del proprio portafoglio:

– Iniziare col porsi degli obiettivi di rendimento, di rischio e di tempo (quanto voglio guadagnare, quanto posso perdere, ed in quanto tempo).

– Verificare la capacità di reperire dati o report sintetici di dati macroeconomici e/o sui singoli settori e/o sui singoli titoli

– Scegliere lo o gli strumenti giusti per raggiungere i propri obiettivi; azioni (Mib30, Midex, Nuovo Mercato, Small Caps), Fondi Comuni, Etf, Covered Warrant, Future,etc.

– Scegliere il grado di diversificazione ottimale in funzione dei propri obiettivi (vedi Appendice sulla Teoria dei Portafogli Efficienti).

– Scegliere l’approccio decisionale adatto verificati i precedenti punti.

La teoria classica di gestione del portafoglio risponde alla domanda “Come posso costruire un portafoglio che abbia un rischio inferiore a quello di mercato e che abbia un rendimento atteso maggiore? Esaminiamo i seguenti concetti:
Rendimento atteso, rischio e tempo sono le tre variabili che definiscono ogni investimento. Rischio e Tempo sono le variabili indipendenti, mentre il Rendimento Atteso dipende dalle altre due variabili. A parità di rischio posso avere più portafogli con rendimenti attesi diversi.
Il Rischio collegato all’investimento è la somma di altri due rischi quello specifico e quello di mercato (Beta azionario).

Il rischio di mercato (Beta azionario) combinato con la correlazione tra l’andamento del titolo ed il mercato stesso determinano la seguente classificazione dei titoli :

– Titoli Aggressivi (correlazione compresa tra 0 ed 1; Beta maggiore di 1)

– Titoli Neutrali (correlazione = a 0; Beta = 1)

– Titoli Difensivi (correlazione compresa tra 0 e -1; Beta inferiore ad 1)

Il rischio specifico dipende dal singolo titolo ; l’azienda opera in un settore, ha un management, effettua investimenti, etc.; tutto questo determina il grado di rischio specifico che ogni titolo porta con sè (quello che per i titoli obbligazionari viene chiamato rating)

A parità di rischio di mercato la diversificazione diminuisce il rischio specifico; è facilmente intuibile, infatti, come i rischi specifici di più titoli inseriti in un portafoglio non si sommino, anzi, creano esattamente un effetto diluitivo del rischio stesso.
La somma del rischio di mercato e dei rischi specifici dei singoli titoli contenuti nel portafoglio è sicuramente maggiore del rischio totale di portafoglio. Questo dipende dal fatto che i rischi specifici vengono diminuiti dall’effetto correlazione con il mercato. Se ad esempio il nostro portafoglio fosse costituito da un titolo difensivo e da un titolo aggressivo, l’effetto della correlazione sarebbe massimo (+1, -1), e l’effetto dei rischi specifici annullati.

La combinazione delle variabili tempo, e rischio specifico determina il rendimento atteso (posto che il rischio di mercato è una costante). Quindi con la giusta combinazione di titoli in portafoglio (la ricetta con gli ingredienti giusti) posso battere il mercato rischiando di meno in un determinato lasso di tempo. Non solo, esisterà una combinazione di titoli ottima che non potrà essere superata da nessun altro portafoglio a parità di rischio specifico

La combinazione di titoli ottima (imbattibile a parità di rischio) viene chiamata Portafoglio efficiente. L’insieme di combinazioni portafoglio efficiente-rischio specifico (ricordiamo che esiste un solo portafoglio efficiente per ogni livello di rischio) viene chiamata Frontiera dei Portafogli efficienti. L’obbiettivo di ogni gestore, secondo la teoria classica è di posizionare il proprio portafoglio sulla Frontiera.

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Come si comportano i grandi gestori? Quali metodologie utilizzano? Abbiamo cercato di analizzare come si comportano i grandi uomini della finanza e poi li abbiamo messi a confronto con le metodologie di gestione dei grandi fondi comuni ed è venuto fuori un risultato per certi versi sconvolgente ma non del tutto imprevedibile viste le due esigenze contrapposte di personalizzazione in un caso e di controllo rigido dei gestori nell’altro:

– Nessuno dei 5 grandi gestori da noi studiati utilizza il metodo Top-Down.(W. Buffett, P.Lynch, J.Templeton, J. Neff, G. Weiss).

– Tutte le 5 Società di Gestione di Fondi Comuni di Investimento tra le più grandi al mondo, analizzate, utilizzano metodologie Top-Down (Putnam, Fidelity, Morgan Stanley, Invesco, Prudential) .

– L’unico dei 5 grandi gestori ad utilizzare un modello ibrido (gli altri 4 utilizzano un modello rigorosamente Bottom-Up) è Warren Buffett, che analizza un determinato settore come punto di partenza per acquistare partecipazioni di lungo periodo e poi all’interno del settore scelto arriva a scovare i titoli più promettenti.

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